mercoledì 23 ottobre 2013

23 ottobre 2011, la fine di Marco Simoncelli


Le immagini dell'incidente di Marco Simoncelli, quel dannato 23 ottobre del 2011 a Sepang, sono state viste in diretta da milioni di telespettatori e dai tantissimi tifosi di Marco. La gravità fu subito evidente. Il corpo di Marco, immobile sull'asfalto, senza casco (era scivolato ed era stato colpito incolpevolmente da Edwards), resterà come un incubo nei ricordi di molti.

Marco, romagnolo di Cattolica, straordinario e eccentrico pilota, aveva solo 24 anni. Aveva esordito nel 2002 nella classe 125 con l'Aprilia, nel 2006 era passato alla classe 250 con la Gilera, dove nel 2008 era stato Campione Mondiale. Nel 2010 era approdato alla MotoGP con la Honda.

La sua simpatia aveva contagiato molti giovani appassionati.

Ecco il video

Ecco il sito della Fondazione Marco Simoncelli

martedì 22 ottobre 2013

22 ottobre 1964, Sartre dice no al Nobel

Fece scalpore in tutto il mondo, il 22 ottobre 1964,  la decisione dello scrittore e filosofo francese Jean Paul Sartre di rifiutare, unico caso nella storia, il Premio Nobel per la Letteratura che l'Accademia di Stoccolma gli aveva conferito.


Sartre (1905-1980), è stato uno scrittore impegnato, amato da una generazione ribelle e anti-conformista. E' stato l'icona del movimento letterario dell'esistenzialismo che guardava all'avventura umana come unica, solitaria e precaria.

Nel 1964 Sartre, in odore di Premio Nobel, aveva scritto all'Accademia di Stoccolma pregandoli di desistere dalla volontà di assegnarli il Premio, che nonostante stimava, non voleva ricevere. Pare, che tale lettera fu aperta solo dopo.

All'annuncio dell'assegnazione del Premio, Sartre rinunciò "per motivi personali e obiettivi" destando molto scalpore nel mondo accademico e della cultura. Oggi si sottolinea la sua frase "nessuno può essere celebrato da vivo", come causa del suo rifiuto. In realtà le motivazioni furono più profonde, ad esempio nella prima lettera egli scrisse di non volere il premio "nè nel 1964 nè dopo". Così come le sue motivazioni, nella lettera di rifiuto,  riguardavano la volontà come scrittore "di non lasciarsi trasformare in istituzione, anche se questo avviene nelle forme più onorevoli" e la volontà di "non schierarsi nella lotta tra la cultura dell'ovest e dell'est".




martedì 15 ottobre 2013

15 ottobre 1987, l'assassinio di Thomas Sankara


"Il sole rosso della stagione delle piogge scende lentamente dietro le palme del complesso detto "l'Intese" a Ouagadougou. Dietro le barriere, un pugno di case bianche, un salone delle conferenze di cemento armato e vetro...... Giovedì15 ottobre 1987,ore 16 e trenta: una colonna di piccole auto - Renault 6 nere - lascia la strada asfaltata, svolta sulla pista di terra rossa, entra nel recinto. Nella sala deve iniziare la sezione straordinaria del Consiglio Nazionale delle rivoluzione del Burkina. I sicari sono appostati nelle prime case, vicino alla barriera d'entrata e nei cespugli che costeggiano il sentiero. Una granata dilania l'auto di testa. Paulin Bamoumi, addetto stampa della presidenza, Frederic Ziembie, consigliere giuridico, sono uccisi sul colpo. Sankara e nove guardie riescono a rifuguarsi nel padiglione più vicino. Appiattiti a terra nel corridoio reagiscono. Ma il padiglione è accerchiato. Una granata viene buttata all'interno. Sankara, ferito dice: "E' inutile. Vogliono me". Si alza. E' sereno. Si dirige verso la porta. Una raffica di Kalashnikov crivella il suo corpo. I sicari assassaltano il padiglione e sparano su tutto ciò che vive. Per molti dei colpiti l'agonia è lunga. Sankara agonizza per più di quaranta minuti nella polvere rossa del sentiero. Il suo sangue si mescola alla terra". Così Jean Ziengler, in La vittoria dei vinti (Edizioni Sonda, 1992) descrive la fine diThomas Sankara e della sua rivoluzione burkinabè.
Su come avvenne l'assassinio di Thomas Sankara vi sono alcune versioni differenti da parte dei testimoni, anche se di poco conto, come qella che dice che fu ucciso appena uscito dall'auto (e non dopo essersi rifugiato nel padiglione), al grido del capo delle guardie "Uccidetelo!". La cosa che invece, a oltre 23 anni dall'omicidio, si continua a chiedere è giustizia sulla sua morte. Che gli assassini fossero guidati da Blaise Compaore, attuale presidente del Burkina Faso, amico e compagno d'armi di Sankara, legato al padre fondatore della vicina Costa d'Avorio Felix Houphouet Boigny (che aveva definito Sankara il "figlio ribelle"), con la complicità di servizi e potenze straniere, sembra cosa certa. Vi posto questo breve video tratto dalla trasmissione televisiva Ombre africane di Silvestro Montanaro in cui alcuni protagonisti - legati al criminale di guerra Charles Taylor, ricostruiscono una versione (che ovviamente non è oro colato) sull'omicidio di Sankara.



Proprio perchè la verità è complessa, da tempo il sito Thomas Sankara Net(che contiene tra l'altro un grande raccolta di testimonianze, articoli e materiali multimediali sulla figura di Sankara) ha aperto una campagna per chiedere giustizia internazionale (come si è fatto per molte altre situazioni che hanno interessato l'Africa) sulla morte di Thomas Sankara.
Vi segnalo anche il gruppo Facebook di Patrizia Donadello "Giustizia per Thomas Sankara", legato alla stessa campagna.

L'assassinio di Thomas Sankara (nella foto la sua tombaè stata una tragedia per l'intera Africa.Ma pensate che un uomo, un capo di stato, un giovane militare, un presidente che stava ottenendo ottimi risultati sul piano sociale, che ebbe il coraggio di dire al mondo "Ci hanno prestato i soldi gli stessi che ci hanno colonizzato. Il debito non è che neocolonialismo ed è controllato dall'imperialismo. Dopo essere stati schiavi, siamo ora schiavi finanziari. Se non paghiamo, i creditori non moriranno di certo. Ma se paghiamo, moriremo noi. Dobbiamo avere il coraggio di dire soltanto: siete voi ad avere ancora dei debiti, tutto il sangue preso all'Africa", poteva rimanere vivo negli anni '80?
Conoscere la verità è oggi una giusta richiesta.

Vi segnalo - per chi vuole approfondire la storia di Sankara - l'ottimo lavoro di Carlo Batà "L'Africa di Thomas Sankara".

Vai alle altre Date storiche per l'Africa su Sancara

dal blog Sancara

mercoledì 9 ottobre 2013

9 ottobre 1967, la fine di Ernesto "Che" Guevara

Il 9 ottobre 1967, in uno sperduto villaggio delle Ande boliviane, La Higuera, finiva a 39 anni la vita di Ernesto Guevara de la Serna, per tutti "El Che". Ferito il giorno prima in uno scontro a fuoco, lasciato agonizzante, mutilato delle mani, fu poi sepolto in un luogo segreto. I suoi resti furono ritrovati solo nel 1997.


Finiva così la vita del rivoluzionario più conosciuto del mondo, destinato a diventare un mito e un simbolo internazionale.

Argentino di Rosario, medico laureato a Buenos Aires nel 1953, Ernesto aveva viaggiato in lungo e in largo per l'America Latina, venendo a contatto con molte delle realtà legate alle condizioni dei contadini sudamericani, che avrebbero caratterizzato il suo pensiero futuro e le sue azioni. 

Dopo essere stato in Guatemala, El Salvador e in Messico, Guevara fu uno degli artefici della rivoluzione cubana che portò nel 1959 Fidel Castro a prendere il potere a Cuba. Fu Ministro della Giustizia di Castro.
Nel 1965, lasciò Cuba e sparì per qualche anno. Si seppe dopo che era stato nell'Ex Congo Belga, attuale Repubblica Democratica del Congo, ad organizzare la ribellione contro Mobutu.
Ritornò, tra la fine del 1966 e il 1967 in Sud America, combattendo in Bolivia.

La storia di Che Guevara è diventata un simbolo della rivoluzione, della coerenza umana e del sacrificio fino alla morte. La storia di un'idealista, di chi ha creduto e combattuto per un mondo diverso. Come per tutti i miti, spesso si finisce per essere acritici o per non vedere errori e distorsioni. Di contro in molti tentano di distruggere il mito.

E' innegabile che il pensiero di Che Guevara (ritrovabile in molti suoi scritti), le sue azioni e la sua tenacia, appartengono ad un uomo, appunto un uomo, che ha anteposto un'idea alla sua vita, fino al punto di sacrificarla.

Ecco una completa biografia di Che Guevara

9 ottobre 1963, Vajont: un disastro annunciato

Il disastro del Monte Toc, che franò nel bacino artificiale creatosi a seguito della costruzione della diga del Vajont, era stato ampiamente previsto. La sera del 9 ottobre 1963, quando la frana scivolò ad oltre 90 chilometri orari nel bacino, provocando un'onda gigantesca che, superando la diga, si riversò nell'abitato di Longarone, quasi 2000 persone, di cui oltre 450 bambini, morirono sommersi da acqua, fango e detriti.



Per anni la popolazione locale e qualche scomoda giornalista come Tina Merlin, avevano incalzato prima i tecnici della SADE e infine quelli dell''ENEL, a causa del pericolo che sentivano imminente.

Le responsabilità furono enormi, ancora oggi quella del Vajont resta una ferita aperta, mai sanata. 

Sulla storia della tragedia del Vajont vi segnalo, su tutto:

- Questo sito, ricco di documentazione e immagini
- Il libro di Tina Merlin, Sulla pelle viva (1983)
- Lo spettacolo teatrale di Marco Paolini, Il racconto del Vajont (1995)
- Il film di Renzo Martinelli, La diga del disonore (2001)

foto dalla rete
Soprattutto, se avete occasione, recatevi sul Vajont. Visitate quei luoghi, fatevi raccontare delle preparatissime guide, la storia di quel disastro. Camminate per i borghi di Erto e Casso. Respirate quell'aria di tragedia, di cui uomini potenti furono responsabili.
Camminate sul coronamento della diga (aperto al pubblico nel 2007), che ricordiamolo, rimase assolutamente intatta perchè, questo sì, era costruita molto bene. Era (ed è) un fiore all'occhiello dell'architettura e dell'ingegneria civile italiana (allora, con i suoi 260 metri era la diga più alta del mondo).

venerdì 4 ottobre 2013

4 ottobre 1970, la morte di Janis Joplin

Il 4 ottobre 1970,  al Landmark Motor Motel di Hollywood, fu trovato il corpo della giovane cantante Janis Joplin. Janis, che aveva allora 27 anni, morì a causa di un'overdose di eroina. Il corpo fu ritrovato 18 ore dopo la morte.

foto dalla rete
Finiva così, nel peggiore dei modi, la breve vita di un'artista destinata a diventare un'icona della musica pop e un simbolo della controcultura hippie, erede della beat generation.

La vita e la morte della Joplin appartengono ad un periodo storico e sono comuni, fatta eccezione per il suo enorme talento musicale, a molti giovani del tempo.

Di famiglia media cresce frequentando, con successo, buone scuole. Irrequieta fin dall'adolescenza, si dedica al canto (blues) e soprattutto al disegno. Dopo essersi diplomata frequenta l'Università del Texas (che lascia poco dopo) e inizia a cantare e incidere. Si trasferì in California. Nel 1965 si laurea in Scienze Sociali all'Università di Houston. Nel frattempo aderisce convintamente all'esperienza che conosciamo come quella dei "figli dei fiori". Iniziò così il suo viaggio, accompagnato da alcol e droghe, verso luoghi sconosciuti e le esperienze di quel tempo. Trasgressiva (sarà arrestata sul palco per i testi volgari delle sue canzoni), parteciperà da protagonista al Festival di Woodstock nel 1969 e sarà una paladina dell'uguaglianza tra bianchi e neri. 

Il suo corpo, cremato, sarà disperso nell'Oceano.

La sua voce, appassionata e talora straziante, roca e intensa, l'hanno elevata alla più grande voce bianca  di sempre del blues

Molta della sua produzione discografica sarà postuma.



Nello stesso giorno:
- 4 ottobre 1992 - E' pace fatta in Mozambico (su Sancara)

mercoledì 2 ottobre 2013

2 ottobre 1968, il massacro di Tletelolco

Le Olimpiadi sono sempre state una vetrina eccezionale. Nel passato come oggi, il mondo intero si affaccia alla manifestazione sportiva più bella e ambita del nostro pianeta, ed ogni cosa viene enormemente amplificata. Ne erano consapevoli anche le migliaia di studenti messicani (15 mila, secondo varie fonti)  il 2 ottobre del 1968, che a soli 10 giorni dall'inizio delle Olimpiadi di Città del Messico, misero in scena una manifestazione a Città del Messico. La protesta, in appoggio a quello che succedeva in tutto il mondo nel 1968, era stata indetta alla fine di 9 settimane di sciopero e dopo che il governo messicano aveva occupato, con l'esercito, il campus universitario UNAM.

Verso sera, circa 5000 studenti si recarono in Piazza della Tre Culture nel quartiere popolare di Tletelolco (il luogo dove 400 anni prima gli spagnoli avevano massacrato decina di migliaia di Atzechi). L'esercito circondò la piazza ed aprì il fuoco.
Il numero esatto dei morti (portati via in camion della spazzatura) non è mai stato chiaro: 200-300 secondo i manifestanti, 40-50 secondo le autorità.  Oltre 700 i feriti. L'unico dato certo che furono arrestate 1342 persone quella notte.

Le indagini, svolte alla fine degli anni 90 (oltre 30 anni dopo) svelarono come la repressione fu decisa a tavolino e vi fu la collaborazione della CIA.

Pochi giorni dopo, in quelle Olimpiadi, due americani di colore Tommie Smith e John Carlos salirono sul podio. Durante l'inno, indossarono un guanto nero per ciascuno, e alzarono, testa bassa, il pugno al cielo. Sul gradino più basso del podio, l'australiano bianco Peter Norman, si appuntò una spilla nera in segno di solidarietà.
La simbolica protesta, fatta per i neri d'America, per tutti quelli che lottavano nel mondo e per gli studenti di Tletelolco, fece rapidamente il giro del mondo. La carriera sportiva e lavorativa di Smith e Carlos finì al loro rientro in patria (in parte anche quella di Norman) e quella foto è oggi un simbolo universale.